Cosa succede quando la cucina incontra l’arte?
Molti artisti, nel corso dei secoli, hanno dedicato particolare attenzione alla tematica del cibo nelle loro opere.
Famose sono le scene di mercato con banchetti di frutta, verdura, carni, realizzate dai fratelli Campi sul finire del cinquecento, il genere della natura morta che si sviluppò soprattutto in seguito alla celebre “Canestra di frutta del Caravaggio” e i famosissimi ritratti ortofrutticoli dell’Arcimboldo.
Il tema del cibo come prodotto di largo consumo fu anche al centro dell’estetica pop, da Andy Warhol a Claes Oldenburg.
In occasione della 56^ Biennale di Venezia, il padiglione del Guatemala, tra le tematiche trattate, esplora anche quella dell’alimentazione e alcuni degli artisti del collettivo “La grande Bouffe” affrontano l’argomento in maniera audacemente critica.
Salvatore Ruggeri, artista siciliano, ritrae alcuni degli chef simbolo della rivoluzione culinaria attualmente imperante, in maniera sottilmente ironica, nobilmente provocatoria.
Ci presenta uomini riccamente abbigliati alla maniera settecentesca, come in un quadro di Pietro Longhi o di Antoines Watteau, le cui silhouette si stagliano su fondali neutri o su eleganti giardini di dimore nobiliari.
Molti dei loro sguardi, fieri e sicuri, sembrano affrontarci, con un tono di sfida.
Questi uomini non ci offrono nessuna delle loro prelibate invenzioni culinarie, ostentano solo la loro sfacciata ricchezza.
Sono immagini icona della nostra contemporaneità: il loro volto è marchio di qualità e ricercatezza, una costosa cucina dedicata a una fortunata élite.
Sono “gentiluomini “perché ci concedono la loro preziosa immagine, dove tra le mani impugnano, non un piatto della nouvelle cousine, ma un bastone come fosse lo scettro del potere.
Un’altra opera ci introduce alla tematica del Padiglione dedicata al film “Morte a Venezia” di Luchino Visconti: qui Ruggeri rappresenta Helmut Berger nei panni di Tadzio, il giovane dalla bellezza efebica di cui si innamorò il compositore Gustav nel film diretto da Visconti.
Berger non era nel cast del film ma è ritratto nell’opera che vuole essere un omaggio al regista ed al suo attore preferito.
La scena dalle accese tonalità pop è ambientata nell’elegante edificio stile art nouveau dell’hotel veneziano dove si svolge il film, mentre il giovane, assorto nei suoi pensieri, viene forse osservato dall’innamorato.
Ruggeri, nella maggior parte delle sue realizzazioni pittoriche trae suggestioni e ispirazioni dalla natura; al centro di questa meticolosa analisi vi è la sua amata terra: la Sicilia.
La sua condotta pittorica risulta magistrale e potentemente realistica, portandoci quasi ad interagire e a confrontarci con quei personaggi.
Ci descrive la sua terra, indagando i dettagli con una minuziosa e virtuosa resa naturalistica: ci restituisce con una ripresa dalla valenza fotografica i frutti, i fiori, le piante baciati dal sole, cresciute al caldo tra luoghi ricchi di storia, profumi e sapori.
E così possiamo osservare da vicino la mietitura dei campi, il lavoro del pescatore, giovani donne inquadrate tra momenti di relax e occupazioni quotidiane.
Le figure e gli ambienti sono totalmente immersi in una luce alta e diafana, che li avvolge, facendoli meravigliosamente brillare.
Per certi versi, l’attenzione descrittiva di Ruggeri per la sua terra, fa riferimento ad un altro importante artista siciliano: Renato Guttuso, che come lui, seppure in maniera stilisticamente differente, in svariate opere immortalò frammenti dell’isola, come cari ricordi da serbare nella memoria.
L’uso della luce alta che schiarisce le ombre e intride i colori sembra invece far riferimento al realismo americano degli anni trenta, in particolare agli effetti luministici delle opere di Edward Hopper.
La luce in Ruggeri assurge però a simbolo di amore, di affetto, mentre in Hopper isola e esalta i personaggi, in un’atmosfera di riflessione e allo stesso tempo di solitudine e malinconia.
Nelle opere dell’artista siciliano non ci sono invece connotazioni di natura pessimistica: la luce è emblema di positività, di gioiosa conoscenza del dato reale.
In molte tele il pittore ritrae personaggi cari, da giovani ad anziani, con una condotta perfettamente iperrealista, come audaci scatti di momenti fugaci della vita. Ritrae bambini che sorridono, riposano, giocano mostrandosi in tutta la loro innocenza, nell’euforia e nella bellezza che caratterizza quella giovinezza che pian piano fiorisce.
In alcuni ritratti, come quello dedicato a sua madre o alla signora Valeria, studia i volti in maniera meticolosa, indaga le rughe che solcano il viso, che si presentano così vive, vere, perché conosciute, amate.
Nessun dettaglio di quei volti può sfuggire all’artista: quella pelle sembra respirare. E’ come se Ruggeri conoscesse quei volti quasi meglio di sé stesso.
Ma l’analisi della realtà per l’artista non concerne solo il suo vissuto: coincide anche con l’apprendimento del passato, dell’arte che ha fatto la storia.
Realizza copie d’autori di pittori come Caravaggio, Cezanne, Modigliani, Fattori.In particolare le copie da Caravaggio mostrano come Ruggeri riesca ad affrontare temi di natura cupa e drammatica, pienamente fedeli all’approccio squisitamente naturalistico e ai sapienti contrasti chiaroscurali tipici del Merisi.
L’artista nelle sue opere ci regala sentimenti, coinvolgimento: gioia, serenità, ironia, pathos.
Mille sensazioni condensate nel genere pittorico del ritratto, della natura morta e della pittura di genere.
Dipinti dal vero di personaggi che ci guardano consapevoli di essere ritratti, altri che non sembrano nemmeno vagamente accorgersene, affaccendati nelle più svariate occupazioni.
I luoghi, le persone, la natura per Ruggeri sono specchio di realtà conosciute nei minimi dettagli, frutto dell’esperienza di vita, rappresentazione di verità pura e tangibile.
Ruggeri non ha bisogno di trasfigurare le sue immagini perché le ama così come sono e dunque le plasma identiche e perfette alla realtà.
Sono contemporaneamente luoghi esteriori ma anche dell’animo.
Sono profumo di vita, luce e verità.
Mira Carboni