Mezzogiorno.
Il sole è alto nel cielo e ci ritroviamo catapultati in un luogo ameno, caratterizzato da una natura lussureggiante.
Osservando le opere di Claudio Apparuti, artista romano, sembra di viaggiare nel tempo.
Sembra di scappare dalla quotidianità e di ritrovarsi in un mondo arcano, remoto, immerso in paesaggi agresti, bucolici, rischiarati da una luminosità diafana, da un colorito intenso e vibrante.
Quei luoghi sono abitati principalmente da fanciulli sorridenti, connotati da una perfezione angelica, da occhi azzurri spalancati, brillanti, da sorrisi guizzanti o da malinconiche donne di una bellezza moderna e disarmante.
Qua e là stanno sparsi ricordi di civiltà, frammenti simbolo di un passato glorioso, oggetti che sono muti testimoni dell’immensa cultura italiana.
La pittura di Apparuti è colta.
Dietro a quelle vedute, inquadrate in un’atmosfera fuori dal tempo, contemporaneamente allegra e sospesa, luminosa e misteriosa, si celano vividi riferimenti alla tradizione pittorica quattro-cinquecentesca.
L’ amore per l’antichità è stato oggetto di molti artisti nella storia dell’arte, soprattutto tra metà ottocento e il corso del novecento: dai Preraffaelliti, alla pittura italiana di Sironi e Achille Funi, alla metafisica dechirichiana, fino a giungere al realismo magico di Casorati e Oppi, nonché alle più recenti tendenze degli anni ottanta, dalla transavanguardia all’anacronismo pittorico di artisti come Alberto Abate e Carlo Maria Mariani.
Apparuti decide spesso di inserire in queste scene di matrice classica non personaggi di foggia antica, ma fanciulli contemporanei, nel pieno della loro crescita, nello sbocciare della loro bellezza, nel graduale e intenso trascorrere della loro vita.
Le sue opere contengono un continuo rimando tra antico e presente, caratterizzate da una linea sinuosa, precisa, da perfette proporzioni e velate talvolta da un senso di nostalgica malinconia.
Le figure sembrano dei coloratissimi collage dislocati quasi per caso, in un mondo antico che a loro non appartiene ma in cui si ritrovano, come in un sogno.
E’ come se l’artista volesse riappropriarsi di quel magico passato, per renderlo immortale nelle sue tele.
Nei suoi quadri sembra rivivere la grande tradizione veneta di artisti quali Giovanni Bellini, Giorgione, Tiziano unita a un sapore archeologico squisitamente romano.
Ci sono frammenti di capitelli, colonne, vasi, fontane che richiamano ad una tradizione antichissima, alla bellezza della cultura italiana, alla mitologia greca, al persistere della loro esistenza, seppur sbiadita, corrosa dal trascorrere del tempo, ma pur sempre solida e indistruttibile, talmente è forte e unica la storia.
E così nell’ opera Il Bacio su un idilliaco paesaggio al calar del sole, si trovano in primo piano una bellissima Madonna che bacia dolcemente il suo bambino, i colori sono intensi, brillanti, la scena emana un senso di silenzio e tranquillità ricordando certe vedute agresti di Giovanni Bellini o Giorgione.
Nell’opera Pandora, la nota donna della mitologia greca, creata per ordine di Zeus, è ancora un’ingenua bambina; non sembra turbata per aver aperto il vaso che contiene i mali del mondo: il suo volto è semplicemente sognante.
Nell’ Abbraccio troviamo un paesaggio bucolico, e la figura dell’agnello che la bimba stringe a sé potrebbe rimandare a un metaforico abbraccio tra uomo e Dio; dall’altra parte un capitello che ricorda la storia, il passato, le radici culturali.
La Fonte sembra vagamente rimandare al paesaggio della Tempesta di Giorgione: sul fondo un misterioso paese, incorniciata da un lago e tenui colline, mentre in primo piano sta una bimba rannicchiata a fianco di una fonte, come se fosse quella della vita, della speranza. Dietro, uno strano individuo la osserva, connotando ulteriormente l’immagine di sospensione e mistero.
Visita Inattesa emana un senso di profonda sospensione: le pagine del libro si muovono, sembra una Annunciazione, ma al posto della Vergine Maria sta una bella e moderna adolescente: l’angelo non si vede, ma si percepisce il suo arrivo, come nella famosa Annunciata di Antonello da Messina; ma qui lo spazio non è chiuso ma aperto su un vasto e luminoso paesaggio.
Il Sarcofago è un’opera piuttosto enigmatica: sembra un inno alla gioia, in bilico tra luce e mistero, tra vita e morte.
Una ragazzina, come per gioco, esce sorridente da un antico sarcofago, riccamente scolpito. A fianco sta una bimba pensierosa, dal volto reclinato, riflessivo, come se, nonostante la sua tenera età, stesse riflettendo sul tempo che scorre, sul precedente contenuto di quel misterioso sarcofago, che il lungo corso degli eventi, forse, ha spazzato via.
Apparuti nelle sue opere dipinge la vita: la gioia e la spensieratezza dei bambini, ma anche il timore e le preoccupazioni di chi è già cresciuto e che si presenta maggiormente riflessivo.
Nonostante alcune sue opere si presentino enigmatiche, la luce e i colori intensi conferiscono una sensazione di serenità, di pace.
L’ artista sembra volerci ricordare di conservare sempre nel nostro cuore parte dell’animo gioioso e innocente del bambino.
Quell’animo che fantasticando ci permetteva di viaggiare nel tempo, di vedere il sole anche quando c’era la pioggia e di colorare il mondo con la potenza del sorriso.
Mira Carboni